IVA nei ristoranti: come calcolarla?
Chiunque ci abbia mai pensato sa bene come aprire un ristorante rappresenti sempre una faccenda piuttosto complessa. Mai però quanto la gestione dell’IVA nei ristoranti che, nonostante numerosi snellimenti legislativi, suscita ancora dubbi e perplessità.
L’IVA del ristorante, infatti, si applica in misura differente rispetto ad altri settori. Per un negoziante, la questione è semplice: acquista merce al 22% e la rivende applicando la stessa aliquota. Per il ristoratore non è così, perché compra materie prime a cui vengono applicate aliquote una differente dall’altra, ma in fase di vendita deve applicare l’unica aliquota IVA prevista per la ristorazione.
Vediamo dunque, come muoversi del complesso mondo dell'IVA dei ristoranti, senza correre rischi con il fisco.
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Che cos'è l'IVA e come funziona
L’IVA così come la conosciamo oggi è entrata in vigore il 1° gennaio 1973, con lo scopo di adeguare il sistema tributario italiano a quello degli altri stati europei ed ha sostituito la precedente IGE, Imposta Generale sulle Entrate.
Vera e propria tassa sui consumi, l’IVA, Imposta sul valore Aggiunto, presenta le seguenti caratteristiche:
è indiretta, perché non colpisce la capacità contributiva, ma solo il consumo
è proporzionale, perché viene calcolata sul prezzo del bene
è neutra, perché colpisce il valore che ogni bene possiede in ogni fase del suo processo produttivo
è generale, perché colpisce senza alcuna distinzione tutti i consumatori
Per il calcolo dell’IVA ci si riferisce alle tre aliquote in vigore: 4% per i generi di prima necessità, 10% per i servizi turistici, tra cui la ristorazione ed alcuni alimenti, e 22% per tutti gli altri beni e servizi che non rientrano nelle prime due categorie.
Anche l’IVA dei ristoranti, al pari di tutte le altre, è considerata una partita di giro, perché non può essere considerata né come guadagno, né come costo, dal momento che nei termini previsti dalla legge, dovrai versarla allo Stato. Insomma, è come se, nei diversi passaggi dei beni, i vari soggetti si configurassero come gestori di soldi che, di fatto, già appartengono allo Stato. L’unico che non potrà mai chiederla a nessuno è il consumatore finale, che non rivendendo il bene, non ha alcuna possibilità di averla indietro.
Rispetto ad altri imprenditori, in qualità di ristoratore godi di un privilegio e sconti uno svantaggio. Il privilegio è che l’IVA del ristorante la incassi ogni volta che presti la tua opera, a differenza di altri settori obbligati, invece, ad emettere fattura, e quindi a pagare l’IVA, anche quando il reale incasso avviene mesi più tardi. Lo svantaggio è quello di dover fare i conti con diverse aliquote, che creano una certa difficoltà nella gestione contabile.
Le diverse categorie di IVA nei ristoranti
Come accennato, il caso dei ristoranti è particolare, perché la ristorazione è uno dei pochi comparti in cui è possibile applicare l'aliquota ridotta al 10%, indipendentemente dalle bibite e dai cibi somministrati. Per contro, quando andrai ad acquistare le materie prime, ti troverai a fare i conti con diversi tipi di aliquote.
Se sull’acqua in bottiglia, sugli alcolici e sulle bibite, infatti, pagherai il 22% di IVA, sulla carne, il pesce, le uova, i cereali e lo zucchero, solo per fare qualche esempio, pagherai solo il 10%. L’aliquota scende ulteriormente nel caso di frutta, verdura, pane, pasta, pomodoro in conserva, olio e latticini, che in quanto considerati beni di prima necessità, godono dell’aliquota minima al 4%.
Per questo motivo, la gestione dell’IVA dei ristoranti è complessa e richiede particolari attenzioni, soprattutto in fase di registrazione delle fatture di acquisto, quando dovrai associare l'aliquota corretta ad ogni singolo prodotto.
Aliquota IVA ristoranti: quale applicare?
L’IVA per i ristoranti è quella ridotta, ovvero quella al 10%, la stessa che viene applicata anche alla fornitura di energia elettrica, di gas e ai medicinali. La ragione risiede sia nel fatto che alcuni beni sono considerati significativi per i consumatori, sia perché il valore di questi beni non supera la metà del valore complessivo della prestazione.
In pratica, in quanto ristoratore puoi applicare l’aliquota ridotta perché il costo delle materie prime rappresenta meno della metà del conto che presenti ai tuoi clienti.
Nonostante ciò, fino a poco tempo fa i ristoranti da asporto e i delivery, pur lavorando nello stesso settore dei ristoranti, non potevano applicare la stessa aliquota.
IVA ristorazione da asporto e delivery
Fino al 2021, infatti, l’aliquota IVA dei ristoranti variava in conseguenza della loro tipologia. Il D.P.R. n° 633 del 26/10/1972, infatti, parlava chiaro, elencando in modo minuzioso tutti i beni e i servizi soggetti all’aliquota del 10%, tra cui rientrava anche la ristorazione.
Ma nella legge si annidava anche un piccolo paragrafo, che chiariva che per somministrazione di alimenti e bevande al pubblico si intendeva solo la vendita sul posto, quindi il consumo immediato in luoghi predisposti e attrezzati a tale fine.
Nell’aliquota IVA al 10%, quindi, rientravano ristoranti, pub, pizzerie, osterie, trattorie, sushi bar e via discorrendo, ma non le attività che operavano nel settore delivery e asporto, per le quali, fino al 2021, l'aliquota è stata il 22%. Con la legge di bilancio 2021, tutto cambia e l’IVA della ristorazione si attesta per tutti al 10%. Cosa è successo?
Nonostante nel tempo ci fossero stati diversi appelli delle associazioni di categoria affinché il legislatore concedesse l’applicazione dell’IVA al 10% anche per i ristoranti che si dedicavano all’asporto, tali richieste erano sempre cadute nel vuoto. Ma con le drammatiche conseguenze della pandemia, che ha colpito in modo durissimo i ristoratori, il governo ha cambiato idea ed oggi, anche se i tuoi clienti non consumano più i pasti all’interno delle tue mura, potrai comunque applicare l'aliquota più bassa.
Rimane inteso che questa concessione va considerata come misura transitoria, adottata per contrastare gli effetti dell’emergenza COVID 19 e che può essere applicata solo e soltanto agli alimenti cotti e pronti per essere consumati. Di conseguenza, alle bevande e ai cibi non cucinati, considerati quindi come beni e non come alimenti, se usciranno dal tuo locale dovrai applicare l’IVA al 22%.
Come determinare i prezzi del tuo menu al netto dell’IVA nella ristorazione
Partendo dal presupposto che l’IVA incassata dal tuo ristorante non fa parte a nessun titolo dei tuoi guadagni, è ovvio che nell’elaborazione dei prezzi del menù non dovrai tenerla in considerazione. La aggiungerai solo alla fine, prima di stampare il menu.
Calcolare il prezzo di vendita dei piatti del tuo locale è fondamentale: non sottovalutare questo step, perché gli errori grossolani commessi in questa fase rischiano seriamente di far fallire l’attività nel giro di pochissimo tempo. In linea di massima, tieni sempre presente che in un ristorante, i costi si possono suddividere in tre macro categorie:
prezzi delle materie prime - corrisponde al 25-35% dei costi totali
costi del personale - all’incirca il 45-55% del totale
spese generali - fra cui ad esempio affitto e bollette, che si aggirano sul 15-20% dei costi
I ristoranti più grandi, le catene di ristorazione e le attività ricettive più prestigiose, per calcolare il cosiddetto food cost, al netto dell’IVA della ristorazione, si affidano a precise formule matematiche, a partire da quella che ricava il costo unitario dal rapporto tra costo totale della produzione e unità prodotto. Una volta individuato tale costo, provvedono ad aggiungere l’imposta.
In verità, però, tali calcoli non sono indispensabili per la gestione di un piccolo ristorante, che per sua natura deve fare maggiormente i conti con alcune variabili come, ad esempio, le commissioni da corrispondere alle varie app per prenotare ristoranti, che dovrai includere nella tua valutazione, prima di decidere quali prezzi assegnare ai tuoi piatti.
Ad esempio, dovrai prendere in considerazione i prezzi della concorrenza che si muove nel tuo stesso segmento di mercato, cercando di trovare il giusto equilibrio tra il prezzo che desidera pagare il cliente, quello che ti consente di guadagnare e quello che ti permette di essere competitivo.
Inoltre se è vero che non vale la pena svendere il tuo lavoro, è altrettanto vero che se un prezzo, soprattutto quando maggiorato di IVA, non risponde alle aspettative della tua clientela, c’è qualcosa che non va e dovrai, quindi, rivedere i tuoi piani. Se proprio non ti è possibile abbassare il prezzo di vendita, dovrai puntare su una proposta di valore, spiegando al cliente come e perché sta pagando qualcosa in più di quanto avrebbe fatto dal tuo concorrente.
Un modo più semplice per calcolare i prezzi del menù è quello di partire dal costo delle materie prime per piatto e moltiplicarlo per 4. In questo modo, avrai caricato anche i costi fissi e ti sarai assicurato il tuo margine di guadagno.
Solo a questo punto, potrai aggiungere l’IVA dei ristoranti, ovvero quella al 10%.
Cosa succede se ometti di dichiarare l’IVA al fisco
In quanto ristoratore, se non vuoi incorrere in pesanti sanzioni amministrative e penali, ogni anno sarai tenuto a presentare la dichiarazione dei redditi. Ma se l’omessa dichiarazione dei redditi è una grave violazione, lo è ancor di più omettere la dichiarazione IVA.
A differenza della dichiarazione dei redditi, a cui potrai pensare una sola volta l’anno, l’IVA è soggetta a diverse scadenze, che comprendono comunicazioni, liquidazioni e versamenti. La legge, in ogni caso, distingue i casi di omessa dichiarazione dell’IVA, in cui oltre alle sanzioni amministrative e pecuniarie sono possibile anche quelle penali, dai casi in cui si tratta di un semplice ritardo, nel qual caso è sempre possibile sanare l’omissione con il cosiddetto ravvedimento operoso, ovvero con il pagamento di sanzioni ridotte.
La buona notizia è che ti basterà un bravo commercialista e un registratore di cassa di nuova generazione per avere la garanzia di essere sempre in regola con l’IVA del ristorante, senza perdere troppo tempo. In questo modo, potrai dedicarti a ciò che ti riesce meglio: far crescere il tuo locale.
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